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Progetto “parole migranti” [a cura di Francesca Felici]

Parole Migranti ha iniziato a prendere forma dietro i banchi di un master in traduzione a Milano, dove Cristina Galimberti, Ilaria Stoppa e Martina Ricciardi si sono conosciute. Tre persone diverse, con storie diverse, ma con una grande passione in comune: la traduzione letteraria. Hanno così deciso di trasformare questa passione in un lavoro.

Parole Migranti si sviluppa su due piani paralleli. Dal lato della formazione organizzano workshop di traduzione letteraria, sfruttando non solo la lingua in comune – l’inglese – ma anche le seconde lingue – russo, tedesco, francese. Dall’altro, quello della traduzione, dove hanno portato una ventata di novità con la traduzione collaborativa nel cui potenziale Cristina, Ilaria e Martina credono tantissimo.

Uno dei pilastri su cui si basa il progetto di Parole Migranti è quello della traduzione collaborativa, una pratica poco diffusa in Italia ma comune nei paesi nordici. Qual è il vostro metodo di lavoro? Lavorate singolarmente per poi revisionarvi a vicenda oppure avete un altro modus operandi?

È vero, la traduzione collaborativa è ancora poco diffusa in Italia, ma ultimamente nel colophon dei libri, e nei casi più fortunati anche in copertina, si iniziano a vedere coppie di traduttori.
Il nostro approccio alla traduzione collaborativa è stato casuale e spontaneo: abbiamo iniziato a lavorare così al secondo anno di master, perché al corso eravamo soltanto noi tre. A casa traducevamo le cartelle che ci venivano assegnate, e in classe con la docente, nel nostro caso Franca Cavagnoli, le revisionavamo arrivando a una versione definitiva. E così lavoriamo anche adesso.

La prima stesura è individuale, questo perché pensiamo sia importante instaurare un rapporto intimo con il testo, senza eventuali influenze da parte di altre persone. Una volta finita la prima fase, ecco che iniziano gli infiniti giri di revisione in cui rimettiamo sul tavolo tutte le carte scoperte e arriviamo a una quarta (a volte quinta) versione definitiva, che diventa il frutto di un accurato scambio di opinioni volto a valorizzare anche il lavoro individuale. Ed è inoltre un ottimo esercizio di condivisione, che ci permette di entrare in sintonia e convergere le nostre forze verso un obiettivo comune, ovvero la buona riuscita del testo.

Questo è il metodo che ci proponiamo di utilizzare ogni volta che ci viene commissionato un lavoro, ma non sempre si sposa con le esigenze di una casa editrice perché i tempi editoriali sono quelli che sono. A volte è capitato di dividerci un romanzo per poi revisionarlo per intero insieme. Ovviamente, quando lavoriamo così la fase della revisione diventa cruciale: ognuna di noi rilegge la traduzione dell’altra, sempre con l’inglese accanto, e poi insieme arriviamo a un’unica stesura finale, che deve essere coesa e soprattutto deve avere la stessa voce.

Uno dei rischi peggiori della traduzione collaborativa, infatti, è quello di creare un testo ibrido, che noi scherzando chiamo “Frankenstein”, ovvero un’accozzaglia di stili diversi, un patchwork malfatto che non merita di finire sugli scaffali di una libreria.
Ho letto alcune vostre interviste a traduttrici e traduttori che hanno già firmato traduzioni a quattro mani e quindi vi giro una vostra stessa domanda: pensate che la traduzione collaborativa si presti a tutti i tipi di romanzi?

Sì,se fatta con criterio. È vero che quello del traduttore è un mestiere individuale, e che le scelte spesso sono molto soggettive, intime e personali. Però noi ci siamo poste l’obiettivo di sfatare questa credenza e dimostrare che anche la decisione più difficile riguardo una certa parola, un verbo o una strategia da seguire, se presa in due (o in tre, come nel nostro caso) diventa meno faticosa. Parte sempre tutto dalla condivisione.

Ovviamente certi romanzi si prestano più di altri alla traduzione collaborativa, e ci riferiamo soprattutto ai romanzi polifonici. Anzi, ti confessiamo che uno dei nostri sogni è proprio quello di tradurre un romanzo con più voci: la voce narrante verrebbe tradotta in tandem da tutte e tre, ma ognuna di noi si occuperebbe della voce di un singolo personaggio, restituendo così una varietà di linguaggio e un’autenticità che sicuramente gioverebbe alla buona riuscita del testo.

Stella Sacchini, che nel 2018 ha ritradotto Piccole donne per Feltrinelli, spesso ha sottolineato come le quattro sorelle March abbiano temperamenti diversi e quindi anche modi di parlare diversi, cosa che non sempre è emersa nelle precedenti traduzioni. Stella è riuscita benissimo a restituire questa varietà traducendo da sola, ma Piccole donne è un romanzo che, proprio per la sua polifonia, si presterebbe benissimo anche alla traduzione collaborativa.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi della traduzione collaborativa?

Questa è una delle nostre domande preferite. Per noi tradurre insieme è diventato un processo normale, un meccanismo ben consolidato nel tempo che ci regala sempre grandi soddisfazioni. La traduzione collaborativa è prima di tutto insegnamento: ti mette alla prova, ti costringe ad ascoltare interpretazioni diverse dalla tua, ed è un ottimo esercizio per imparare l’arte della negoziazione. Capire, cioè, quando vale la pena insistere e difendere a spada tratta le proprie decisioni e quando invece è meglio scendere a compromessi e riconoscere con umiltà i propri limiti e le proprie debolezze. Tutto si basa sul rispetto reciproco e sulla condivisione.

La caratteristica principale della traduzione collaborativa è l’interazione sociale, che aiuta a creare quella verbalizzazione del pensiero che Nataša Pavlovič, ricercatrice presso il dipartimento di anglistica dell’università di Zagabria, chiama “think-aloud method”. Questo processo permette di chiarificare un concetto o dissipare un dubbio inerente al testo di partenza, e aumentare le possibilità di resa, riducendo quindi il margine di errore. Poter scegliere tra una più vasta gamma di traducenti non è banale, ti permette di selezionare le idee migliori per poi giungere a una resa ancora più spontanea. Lavorando a sei mani si ottiene inoltre un risultato finale più pulito anche da un punto di vista redazionale, perché il testo viene controllato a più riprese e da persone diverse.

Certo, non è sempre tutto facile e immediato. A volte ci si scontra e si fa fatica a trovare una soluzione comune. A quel punto il rischio è di perdersi in discussioni lunghissime senza capo né coda.

La gestione del tempo, poi, è un altro aspetto critico della traduzione collaborativa: i tempi sono estremamente dilatati – per noi addirittura triplicati – ci vuole molta disciplina e organizzazione nel gruppo, altrimenti si rischia di non concludere il lavoro. Nel nostro caso, per fortuna, ci pensa Cristina. Tra mille file Excel, fogli su Drive, promemoria continui e scadenze programmate ci tiene tutte in riga!

Isabella Blum, vincitrice del Premio di Traduzione “Giovanni, Emma e Luisa Enriquez”, ha detto nella sua lectio magistralis alle Giornate della Traduzione Letteraria 2020 che la traduzione è contemporaneamente arte e scienza: arte per l’aspetto creativo e scienza per il rigore con cui è necessario affrontare il lavoro di ricerca necessario per qualsiasi tipo di traduzione. Cosa ne pensate?

In linea di massima siamo d’accordo. La traduzione è creazione, interpretazione ed è una vera scommessa. L’abilità più grande di un traduttore e quella di saper giocare con la propria lingua. Pensiamo, per esempio, a un libro per bambini. Il traduttore dovrà essere in grado di inventare filastrocche, creare rime e giochi di parole, decidere il nome dei personaggi e far sì che al piccolo lettore italiano vengano restituiti tutti gli elementi del testo di partenza.

Pensiamo invece a romanzo polifonico: ogni personaggio avrà una propria caratteristica e il traduttore dovrà districarsi tra le varie personalità e scegliere la voce più adatta. Insomma, saper usare bene una lingua, sceglierne le giuste sfumature, non è affatto facile. È un processo artistico che richiede fatica, studio e molta creatività. E sì, tantissimo rigore. Rigore nelle consegne e nell’approccio che si ha verso il testo. Ogni traduttore deve imporsi delle scadenze, delle regole e questa è la parte più difficile.

Per quanto riguarda definire la traduzione una scienza, la questione è molto complessa e dibattuta. Di sicuro, il processo traduttivo richiede precisione, metodo e costanza. Ma la cosa più importante per noi – al di là delle definizioni – è cercare di soddisfare i nostri lettori, perché si sa che sono sempre loro ad avere l’ultima parola.

Vi piacerebbe cimentarvi nella traduzione poetica?

Che domanda originale! È la prima volta che ci viene chiesto di riflettere sulla poesia e la nostra risposta è ni. Razionalmente sarebbe un no secco. Il motivo è molto semplice: il prerequisito essenziale che serve per tradurre la poesia è essere un poeta. La poesia è un genere molto particolare che si colloca in una dimensione a sé.

Rispetto alla narrativa o alla saggistica, infatti, al traduttore-poeta si pongono difficoltà diverse perché deve «stabilire una profonda sintonia con lo spirito dell’autore, identificarsi con il profilo umano scolpito nel marmo dei versi» per citare il poeta e traduttore Andrea Giampietro.

La poesia è il luogo della connotazione per eccellenza, quindi trovare le parole giuste è una sfida ancora più grande. E oltre alla polisemia, ci sono il ritmo, la metrica, i suoni, le figure retoriche.

Quindi per quanto ci piacerebbe, oggi ci sentiamo ancora molto acerbe. Però abbiamo tanta strada davanti, e non vogliamo escludere niente. Per ora promettiamo di leggere più poesia, così per prepararci.

Un primo passo l’abbiamo fatto grazie alla casa editrice Lieto Colle, specializzata proprio in poesia, che ci ha mandato già tre belle raccolte da recensire. Leggendo e confrontando i versi con l’originale ci siamo rese conto di quanto quest’esperienza traduttivapossa essere arricchente e stimolante. Perché si tratta di superare il confine verbale, farsi sedurre dal ritmo e dalle immagini. Lasciarsi emozionare, insomma, seguire il cuore.

Ed ecco scovato il timido sì, per tornare alla tua domanda. Meno razionale e più istintivo, ma si sa, le vie della traduzione sono infinite.

Quali prospettive hanno oggi, in epoca di emergenza sanitaria, gli aspiranti traduttori letterari? Quali consigli vorreste dare in base alla vostra esperienza?

Di questi tempi, non è facile parlare di prospettive. Ed è inutile girarci troppo attorno. Trovare lavoro è frustrante, soprattutto per chi è giovane. In più il settore editoriale è piccolo e difficile, e ritagliarsi il proprio spazio richiede pazienza, tempo e molta dedizione.

Ma il Covid può essere una chance. Se c’è un messaggio positivo che possiamo trarre da tutta questa storia è quello di essere resilienti. Il lockdown ci ha insegnato a capire che non dobbiamo dare nulla per scontato e accettare le difficoltà per volgerle a proprio vantaggio.

Soprattutto bisogna imparare a reinventarsi e noi di Parole Migranti abbiamo fatto tesoro di questo insegnamento. Abbiamo rinunciato a tante cose, sospeso altre. Ma abbiamo anche rivoluzionato la nostra offerta formativa, introducendo i webinar (cosa che rimandavamo da tempo).

Ci siamo buttate a capofitto sui social per tenervi compagnia con le nostre rubriche e raccontare i libri che più ci hanno colpito. Abbiamo scritto un e-book perché abbiamo avuto tempo di pensare, di scrivere, di ascoltare tutte quelle e-mail che ci arrivavano.

In tanti ci chiedevano consigli su come fare a proporre un libro a un editore, o più in generale come muovere i primi passi. Abbiamo raccolto le idee e la nostra esperienza in un libricino prezioso: La bussola del traduttore. Lo abbiamo chiamato Bussola perché l’intento era quello di orientare gli aspiranti traduttori verso il mercato editoriale. Da un lato abbiamo puntato a dare suggerimenti pratici, spiegando ad esempio come strutturare una scheda di lettura. Dall’altro abbiamo ribadito l’importanza di formarsi e di seguire anche gli aspetti complementari al lavoro di traduzione. E quindi i festival da non perdere, le riviste da conoscere, le case editrici da tenere in considerazione.

Poi c’è anche il Traduzionario, dove abbiamo selezionato e messo in ordine alfabetico le parole più significative della traduzione. Tra le pagine dell’e-book è raccolta la nostra esperienza che, seppur breve perché siamo all’inizio, vuole essere d’incoraggiamento per chi, come noi, vuole cimentarsi in questo mestiere bellissimo.

Un incoraggiamento che parla di tenacia e spiega l’importanza di mettersi in discussione, di studiare e di credere in ciò che appassiona. Quindi, tirando le somme, è vero che non tutti i mali vengono per nuocere.

Forse mai come in questo periodo, le persone si sono riavvicinate ai libri e hanno riscoperto il piacere della lettura. In questa seconda chiusura, le librerie sono rimaste aperte e per noi è un segnale importante. Che bello considerare i libri beni di prima necessità, al pari del cibo. In effetti sono cibo per la nostra anima.

Potete farci qualche anticipazione sui vostri progetti, sia per quanto riguarda la formazione che la traduzione?

Volentieri. Partiamo dalla formazione: ci piacerebbe continuare a incrementare i nostri servizi, soprattutto per quanto riguarda le combinazioni linguistiche. Puntiamo molto sulle seconde e terze lingue perché da ex-studentesse di traduzione sappiamo che le occasioni per esercitarsi e lavorare sul testo non sono molte. Spesso le università si concentrano su programmi più teorici, almeno nell’impostazione, a discapito della pratica. E poi vorremmo scommettere su lingue nuove, diverse da quelle che abbiamo studiato noi, come abbiamo fatto con il portoghese e lo spagnolo. L’anno prossimo ci proponiamo di seguire questa rotta, magari spostandoci un po’ a Oriente…

Inoltre, ci piacerebbe aumentare le ore dei singoli incontri (ci riferiamo ad esempio a Dietro ai libri) e creare percorsi più lunghi. In questi giorni stiamo lavorando proprio a una nuova struttura e soprattutto alle nuove collaborazioni per i corsi e gli eventi del prossimo anno.

Sulla traduzione, che dire. Abbiamo da poco finito di tradurre un romanzo per un’autrice inglese che forse – incrociate le dita anche voi! – verrà pubblicato in Italia, e ora siamo al lavoro sul suo secondo libro. Nel frattempo, abbiamo iniziato una bella collaborazione con Pièdimosca edizioni, e per loro stiamo ultimando un lavoro davvero difficile e stimolante che vedrà la luce i primi mesi del 2021.

Abbiamo anche un paio di proposte nel cassetto che di tanto in tanto proviamo a lanciare agli editori. Ovviamente ne aggiungeremo di nuove, abbiamo già adocchiato qualche titolo. In generale, comunque, ci piacerebbe tradurre racconti. Sono il genere che preferiamo in assoluto. In Italia però il mercato editoriale è più orientato verso i romanzi, infatti ci sono tantissime raccolte inedite, di autori anche conosciuti, che ci piacerebbe tradurre.

E poi c’è sempre la nostra passione originaria, ossia le voci trascurate, scomode, neglette e quegli scrittori che parlano di discriminazione razziale, di pregiudizio. Insomma, la cosiddetta letteratura postcoloniale. A questo proposito, vorremmo collaborare con qualche editore coraggioso, in grado di pensare out of the box,per portare in stampa un libro di uno scrittore (o scrittrice) australiano, caraibico o afroamericano. Sarebbe bellissimo, magari chiedendo una borsa o partecipando a qualche programma che possa finanziare la traduzione. Abbiamo grandi aspettative, ma non sappiamo cosa riusciremo a fare. Anche perché dobbiamo sempre adattare i progetti di traduzione al calendario dei corsi. Ma faremo del nostro meglio, per puntare in alto e garantire sempre la massima qualità.

Per maggiori informazioni: www.parolemigranti.it

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