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Intervista ad Anna Mioni [a cura di Francesca Felici]

Anna Mioni è traduttrice, docente di traduzione (tra l’altro, è stata insegnante anche della sottoscritta) e agente letteraria internazionale. Come traduttrice editoriale dall’inglese e dallo spagnolo ha tradotto  dal 1997 ottanta libri  (Douglas Coupland, Lester Bangs, Tom McCarthy, Sam Lipsyte, Nell Zink…) ed  è stata tra i segnalati al Premio Monselice per la traduzione nel 2008 e 2009 e finalista al Premio Letteraria di Fano. Tiene seminari di traduzione in vari corsi di laurea e post-laurea di università statali e SSML private, in aula e online.  Nel 2012 ha lanciato la sua agenzia letteraria internazionale, AC² Literary Agency. Fa parte del sindacato dei traduttori editoriali Strade ed è membro fondatore dell’associazione degli agenti letterari italiani (ADALI).

Grazie, Anna, per aver accettato di rispondere a qualche domanda pur avendo una vita professionale molto impegnata su più fronti (traduzione, agenzia letteraria e insegnamento). Il nostro pubblico è composto da molti aspiranti traduttori editoriali e, quindi, in considerazione della tua lunga esperienza, la mia prima domanda è: come hai capito di voler tradurre libri?

Grazie a te per l’invito. Secondo me l’amore per la traduzione non nasce all’improvviso: ce l’hai dentro dalla nascita e a un certo punto emerge. Ho cominciato a tradurre per gioco molto presto, soprattutto i testi delle canzoni. L’incontro con l’inglese alle scuole medie è stato amore a prima vista. Al liceo, pur professando l’inutilità delle lingue morte, mi riuscivano molto bene le versioni da e verso il latino e il processo di traduzione mi affascinava. In seguito, mentre studiavo al Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, ho appreso lo spagnolo e mi sono cimentata con la traduzione di poesie durante i Poetry Workshop tenuti da Franziska e Hans Raimund, entrambi apprezzati poeti e traduttori austriaci.

Ho capito che potevo tradurre per professione quando, alla ricerca di un lavoro vero subito dopo la laurea, ho trovato il bando di un Master in traduzione letteraria dall’inglese all’Università di Venezia: frequentandolo ho scoperto che quello che avevo sempre fatto per passione poteva diventare un mestiere. Non mi ero mai posta il problema, essendo laureata in Italianistica sapevo di voler lavorare nell’editoria, ma pensavo più al ruolo di redattrice o editor in casa editrice, che in effetti ho ricoperto per brevi periodi della mia vita, ma che mi è meno consono. Quella di traduttrice invece è la mia vera identità. Dico spesso “sono traduttrice” invece di “faccio la traduttrice”, perché più che un lavoro è uno stato dell’anima.

Cosa hai tradotto di più nella tua carriera: narrativa, poesia o saggistica? Quali sono le caratteristiche della traduzione di questi tre generi e quali sono, secondo te, i libri più facili da tradurre?

Ho tradotto più narrativa perché è il genere più richiesto, nel quale gravita la maggioranza dei libri da tradurre per il mercato italiano. Ogni tanto mi chiedono di tradurre saggistica o autobiografie sulla musica rock, per le quali posso mettere in campo come valore aggiunto la mia esperienza di musicista. Ho cominciato traducendo poesie e sarebbe fantastico ripetere l’esperienza; non è ancora capitato perché purtroppo devo vivere del mio lavoro e in Italia quel tipo di traduzioni sono retribuite ancora meno delle altre, o non lo sono affatto. Ma non direi di no a una proposta valida.

Per tradurre narrativa serve, oltre a una buona capacità di interpretazione letteraria, anche un forte bagaglio di letture, sia nella lingua di partenza che in quella di arrivo, e una buona capacità di scrittura in italiano. E un grande bagaglio di esperienze. Non traduciamo un libro solo con le nostre nozioni, ma con tutta la nostra persona, e con la nostra vita pregressa, che ci aiuta a comprendere e interpretare il testo, e a renderlo in un italiano stilisticamente credibile.

Per tradurre saggistica serve la capacità di documentazione e di ricerca, se non stiamo traducendo un saggio di una materia in cui siamo già esperti. La parte di scrittura creativa è minore, ma non meno insidiosa, dato che i saggi anglosassoni spesso sono scritti in una lingua ammiccante e colloquiale che non è apprezzata per i saggi italiani.

Per tradurre poesia serve essere un po’ poeti ma sapersi fermare in tempo, perché si sta lavorando con il materiale di un’altra persona che non siamo noi e bisogna mantenere la giusta distanza, evitando la tentazione di spiegare o di interpretare. Ma se manca la sensibilità al linguaggio poetico non conviene cimentarsi.

I libri più facili da tradurre sono quelli scritti bene, anche se sono difficili, perché l’amore e la qualità profusi dall’autore traspirano da ogni riga. I libri più difficili da tradurre secondo me sono quelli scritti in modo sciatto, che si concentrano solo sulla trama o che nascono al solo scopo di vendere o cavalcare successi già collaudati. Il rischio è doverli riscrivere, invece che tradurli.

Credo di interpretare il desiderio di molti dei nostri lettori facendoti una domanda molto diretta: quante ore deve lavorare al giorno un traduttore editoriale per poter far quadrare i suoi conti?

I compensi dei traduttori sfiorano a malapena la sussistenza (vedi le tariffe esposte nell’inchiesta condotta nel 2019 dalla lista Biblit e più di recente i dati di RedActa), tanto che spesso i traduttori sono costretti ad affiancare un’altra professione alla traduzione (io stessa sono stata bibliotecaria part-time per tredici anni, e nel 2011 mi sono dimessa per aprire la mia agenzia letteraria, AC²). Aggiungiamo che non esiste previdenza e nemmeno indennità di malattia, a meno di sottoscrivere una mutua privata.

Usando i dati di Biblit, se ipoteticamente per tradurre una cartella si impiegano dai 30 ai 60 minuti e viene pagata intorno ai 12 euro lordi per un esordiente, dai 16 in su per un esperto, per raggiungere un reddito dignitoso (2500 euro lordi al mese, come un docente delle medie o delle superiori a fine carriera) un esordiente dovrebbe tradurre almeno 8 ore al giorno per 5 giorni; un traduttore esperto forse potrebbe fermarsi a 6 o 7 ore. Questo presumendo di lavorare tutti i giorni, senza malattie o imprevisti o ferie.

In realtà il tempo necessario può salire se il libro è molto difficile, o richiede molte ricerche bibliografiche; in alcuni casi, i committenti richiedono un lavoro aggiuntivo, come la traduzione o stesura di testi promozionali, schede, riassunti, ecc. per il quale non sempre è riconosciuto un compenso specifico.

Spesso si è costretti a lavorare anche il sabato e la domenica, e a prendere ferie molto brevi.

Come organizzi il tuo lavoro di traduttrice? Leggi prima tutto il testo e poi cominci a tradurlo oppure inizi a tradurlo godendoti la scoperta della storia  come un lettore?

All’inizio della carriera avevo spesso il tempo di leggere per intero un libro prima di iniziare a tradurlo; ora che lavoro con tempi sempre più serrati questo è praticamente impossibile. Inoltre, con il tempo ho scoperto che è meglio non conoscere a fondo tutto il libro quando si inizia a tradurlo, perché si rischia di esplicitare per il lettore italiano quello che l’autore ha voluto lasciare espressamente sottinteso. E secondo me solo alla prima lettura di un libro si può usare quell’attenzione totalizzante che permette di tradurre al meglio, cogliendo tutte le sfumature. In ogni caso, con l’ultima rilettura si riesce a rivedere tutto il libro guardandolo in modo unitario. Non esiste però un metodo univoco per tradurre un libro, l’importante è il risultato finale, a cui ogni traduttore arriva con il proprio metodo.

Consulti dizionari monolingue o bilingue? Quali sono gli altri strumenti che usi? 

Lavoro con due monolingui inglesi, un bilingue italiano, vari dizionari di slang online e non. Occasionalmente consulto dizionari, glossari, corpora ed enciclopedie in rete, verificando che provengano da fonte affidabile. Solo per controlli sull’uso corrente di una locuzione mi affido ai motori di ricerca.

Inutile dire che, se si vuole lavorare seriamente con la traduzione, bisogna investire denaro per acquistare dizionari validi e per rinnovarli costantemente.

Infine, anche se immagino quante volte ti abbiano fatto questa domanda, che consigli daresti a un aspirante traduttore editoriale?

Consiglierei di non fermarsi agli studi universitari, ma frequentare le occasioni di formazione avanzata e permanente per i traduttori, e le pagine dedicate alla traduzione sul web e sui social network. Tutto questo serve anche a fare networking con i colleghi, ma anche a imparare il mestiere sul campo: la traduzione è un lavoro artigianale e il modo migliore di esercitarsi è imparare da un professionista, come un apprendista di bottega.

Di studiare a fondo il mondo editoriale e frequentare le fiere di settore: è inutile proporsi senza conoscere il proprio ambito lavorativo in modo approfondito. Di essere curiosi e ascoltare sempre quello che si ha intorno: un buon traduttore ha bisogno di un campionario permanente di gerghi e linguaggi settoriali. Di leggere molti libri di qualità in italiano e nelle lingue di partenza, e di esercitarsi a scrivere bene in italiano, su testi di ogni tipo. Di allenarsi a giocare con le parole (enigmistica, umorismo, poesia, metrica… tutto fa brodo); la parodia è un ottimo esercizio stilistico, per esempio.

Di imparare a fare ricerche e a interrogarsi. Il buon traduttore non è quello che sa a memoria tutte le risposte, ma quello che sa cercarle nei posti giusti.

Grazie ancora, Anna per tutti i tuoi preziosi consigli!

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