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Traduttori del passato: Cicerone e la traduzione nel mondo antico

[A cura di Barbara Barnini]

Nell’antichità furono molti gli autori latini a occuparsi di traduzione di testi greci e il loro scopo non era tanto quello di rendere accessibile in latino il patrimonio culturale greco, poiché fino al II secolo d.C. gli intellettuali romani padroneggiavano sia il latino che il greco, lingue necessarie per gli studi dell’epoca, quanto quello di integrare e impreziosire i propri scritti inserendo citazioni di passi tradotti, sia di poesia che di prosa, come i filosofi greci erano soliti fare. Alcuni studiosi hanno parlato a questo proposito di traduzione artistica che definisce più una creazione personale che una riproduzione fedele del testo di partenza. 

In questo contesto si collocano i contributi dati da Cicerone all’ars vertendi (da vertere trasformare) esercitata durante l’ozio forzato a cui lo costringeva l’interruzione dell’attività politica.

Marco Tullio Cicerone (Arpino 106 a.C. – Formia 43 a.C.) è stato un politico, oratore, traduttore, scrittore e filosofo romano. La sua vasta produzione letteraria comprende scritti di filosofia, di retorica e orazioni politiche. Fervido ammiratore della cultura greca, a Cicerone spetta il merito di aver mediato tra la cultura latina e quella greca attraverso la sua opera e le sue traduzioni. Uno dei maggiori contributi alla cultura latina fu la creazione di un lessico filosofico, considerato come il risultato del suo impegno e della sua passione di trovare per ogni termine della filosofia greca il corrispettivo in latino.

A Roma compì gli studi che lo avviarono alla vita politica e cominciò a interessarsi di filosofia greca. Durante il viaggio pedagogico ad Atene, in Asia Minore e a Rodi, ebbe la possibilità di frequentare le lezioni dei più illustri filosofi e retori dell’epoca come Zenone di Sidone, Antioco di Ascalona e Apollonio Molone, e di completare così la sua formazione retorica e filosofica.

L‘interesse per la traduzione si manifestò in età giovanile, a sedici anni redasse la prima versione poetica latina in esametri del poemetto astronomico Fenomeni, noto con il titolo Aratea, del poeta greco Arato di Soli.

Il corpo delle traduzioni cominciò a crescere nell’età matura, comprendendo traduzioni frammentarie, soprattutto poetiche, inserite nei dialoghi filosofici come citazioni: si tratta di brani parziali ricavati dalle epopee omeriche, dalle tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide, oltre a epigrammi, oracoli, sentenze, enigmi. Cicerone tradusse anche il dialogo di Senofonte L’Economico o Leggi per il governo della casa e le orazioni di Demostene e di Eschine. 

Grande fu la sua ammirazione per Platone: la diffusione del platonismo a Roma avvenne sia tramite la rielaborazione degli scritti del filosofo greco, a cui Cicerone si ispirò per la composizione dei trattati De re publica e De Legibus, sia grazie alla traduzione dei dialoghi di Platone come il Timeo e il Protagora e di brani tratti dalle sue opere. 

Cicerone affermò in De optimo genere oratorum di aver affrontato l’opera di traduzione fungendo da oratore e non da interprete, nec converti ut interpres, sed ut orator, sottolineando pertanto la distinzione tra l’interpres e l’orator, tra il traduttore-interprete e colui che traduce come un oratore dando vita a una creazione originale. Non riprodusse fedelmente l’originale parola per parola, ma i concetti, le forme e le figure, servendosi di termini propri della madrelingua. Si pose di fronte agli scritti da tradurre con molta libertà, ricercando l’equivalenza d’effetto attraverso interventi sparsi nel testo come modifiche, semplificazioni, aggiunte oppure soppressioni di parti intere. Operò delle scelte che investivano il lessico, la struttura morfologica e la sintassi per trovare soluzioni più rispondenti alle esigenze della lingua latina, conservando il significato dell’originale. 

All’epoca di Cicerone era in corso la disputa sulle possibilità del latino di assurgere a lingua della filosofia: considerato da alcuni troppo povero per esprimere il pensiero filosofico, Cicerone, pur consapevole di quale sfida fosse rendere la filosofia greca in latino, ne rivendicò la forza espressiva e la ricchezza linguistica e, in mancanza di termini filosofici che rendessero il senso dei concetti espressi in greco, coniò neologismi, usando espressioni più accessibili al pubblico romano, ricorrendo a più parole per spiegare un concetto oppure lasciando il vocabolo greco. Molti termini creati da Cicerone come qualitas, perceptio, probabilitas, evidentia, moralis, indifferens hanno fatto la storia della filosofia. 

Plutarco nella Vita di Cicerone scrisse:

A quei tempi la sua principale occupazione consisteva nel comporre e nel tradurre dialoghi filosofici; si cimentava, inoltre, a volgere a uno a uno in lingua latina i termini greci usati per la dialettica o per la fisica. Da quanto si racconta, fu lui, infatti, a introdurre per primo vocaboli equivalenti a phantasia, epoché, syncatathesis, catalepsis, e ancora atomon, amerés, kenón e molti altri del genere. Per renderli, poi, comprensibili e il più possibile vicini ai Romani, ne rese alcuni servendosi di metafore, altri di un linguaggio familiare ai suoi lettori. 

L’aspirazione di ricercare i termini latini più idonei a rendere il pensiero filosofico greco l’ha accompagnato per tutta la vita.

In conclusione, l’arte traslatoria di Cicerone riflette la sua forma mentis, si caratterizza per l’emulazione dei modelli greci che vengono  riprodotti attraverso il filtro della sua visione umana e politica e della sua sensibilità poetica, è una traduzione autoreferenziale volta a trasmettere i valori e gli ideali di cui si faceva portatore, a sostenere le sue tesi, a definire il rapporto della sua epoca con la civiltà greca, ed è realizzata con una strategia traduttiva che oggi definiremo di tipo addomesticante, tesa ad avvicinare il testo tradotto al lettore romano del tempo.  

Fonti:

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