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Giustina Renier Michiel: la dama veneta traduttrice di Shakespeare

[A cura di Barbara Barnini]

Giustina Teresa Maria Renier Michiel (Venezia 1755 – Venezia 1832) è stata una personalità di spicco nella vita culturale veneziana del secondo Settecento. Appartenente a un’influente famiglia del patriziato veneziano – gli ultimi due dogi, Paolo Renier e Ludovico Manin, erano rispettivamente  il nonno paterno e lo zio materno di Giustina – fu cultrice delle lettere, scrittrice, conoscitrice del francese, traduttrice dall’inglese e arguta animatrice di un famoso salotto letterario di fama europea nel sestiere di San Marco, in corte Contarina a San Moisè, frequentato dai principali esponenti della cultura del tempo come Ugo Foscolo, Vincenzo Monti, Antonio Canova, Ippolito Pindemonte, Melchiorre Cesarotti, Cesare Cantù, Daniele Manin, Madame de Staël e Lord Byron.

Fu coraggiosa e orgogliosa paladina della venezianità e non temette mai di manifestare apertamente le proprie idee, anche di fronte ai potenti. Si narra che, durante la dominazione francese a Venezia, Napoleone ebbe occasione di conoscere Giustina in Piazza San Marco, e alla sua domanda di «cosa avesse scritto», Giustina rispose in francese che aveva tradotto alcune tragedie. Allorché Napoleone, dando per scontato che l’autore in questione fosse francese, chiese se fossero di Racine, ma Giustina replicò: Pardon, Maestà, ho tradotto dall’inglese, e non mancò di nascondere un tono allusivo che provocò il  disappunto di Napoleone. Infastidito dalla francofobia della donna, l’imperatore se ne andò via seccato senza nemmeno degnarla di un saluto.

I contatti del padre, ambasciatore veneto presso il Vaticano, si rivelarono preziosi quando Giustina si trasferì a Roma per un anno insieme al marito e soggiornò a Palazzo Venezia. Ebbe così la possibilità di frequentare gli ambienti intellettuali della società romana e di incontrare il poeta Vincenzo Monti che l’avviò agli interessi letterari.

Giustina maturò l’idea di tradurre tre tragedie di Shakespeare attraverso la conoscenza del poeta, linguista e professore di retorica e belle lettere Melchiorre Cesarotti (Padova 1730 – Padova 1808), frequentatore dell’ambiente colto inglese di Venezia, famoso per aver tradotto i Canti di Ossian del poeta scozzese James Macpherson e due tragedie di Voltaire La morte di Cesare e Maometto.

Nel 1798 Giustina consegnò per la prima volta al pubblico italiano la traduzione di Macbeth, Otello e Coriolano, e fra gli entusiasti estimatori della sua traduzione si annoverava anche il giovane Foscolo. Nel 1801 seguì la seconda edizione a Firenze. Per la resa si avvalse sia del testo inglese originale, è probabile che possedesse l’edizione del Pope, sia della versione francese dell’opera omnia di Shakespeare di Pierre Le Tourneur, un’opera monumentale di riferimento fino alla metà del XIX° secolo, in venti volumi realizzati tra il 1776 e il 1783. 

Dalla prima lettera dello scambio epistolare tra Giustina e il Cesarotti, datata 1799 e riguardante la prefazione del Coriolano, si evince come i consigli e i suggerimenti di correzione le venissero trasmessi dal professore non solo per scritto, ma anche personalmente:

«Ho letto la Sua prefazione che fa onore alle conoscenze e ai lumi del di Lei spirito. Per ora non Le dico di più, riserbandomi di spiegarle meglio a voce ciò ch’io ne penso domenica prossima, nella quale sarò certamente a Padova anche a quest’oggetto».

La valutazione del ruolo fondamentale di consigliere svolto dal Cesarotti nella traduzione della dama veneta come lei stessa amava definirsi scegliendo di pubblicare sotto questo pseudonimo – ha diviso, e divide tutt’oggi, i critici. Fino alla metà del Novecento la critica si è dibattuta attorno all’autonomia del lavoro traduttivo di Giustina, considerando le sue competenze linguistiche e letterarie del tutto inadeguate per cimentarsi in un’opera di tale portata e ritenendo la sua traduzione una riscrittura del Cesarotti. Un esame successivo più approfondito del suo bagaglio culturale e dei suoi contatti con i membri del salotto letterario veneziano, ha permesso di rivalutare il suo talento traduttivo e la sua capacità di operare autonomamente. In una prospettiva più contemporanea, e senza cadere in posizioni estreme, possiamo vedere Giustina come una nobildonna veneziana colta, aperta alle nuove istanze culturali, che si accinse a tradurre le tragedie shakespeariane potendo contare sull’aiuto dell’illustre ed erudito professore padovano.

Le sue traduzioni possono essere considerate volgarizzamenti, Giustina intese divulgare le tragedie del bardo inglese e renderle accessibili a quella parte di pubblico italiano che non poteva, o non voleva, leggere Shakespeare in francese, la lingua degli eruditi. Nella prefazione all’edizione italiana parlò delle difficoltà dell’impresa e del suo metodo traduttivo: il modo migliore per tradurre un testo è quello di ricercare «una media proporzionale fra la fedeltà troppo severa che snerva, e la soverchia licenza che altera.» 

Scegliendo la ricerca della giusta proporzione come tecnica traduttiva, la ricerca della giusta misura tra una traduzione letterale e una troppo libera, Giustina è sempre stata molto attenta sia alla questione della vivacità e comprensibilità del testo tradotto che si ispira all’originale sembrando un originale, sia a quella della verosimiglianza dei dialoghi che devono essere chiari e intelligibili e devono restituire l’autenticità del parlato reale. 

Il suo nome è legato anche alla descrizione storica Origine delle feste veneziane pubblicata a partire dal 1817 in italiano e in francese, con cui ha voluto rendere omaggio ai costumi veneziani e all’indole dei suoi concittadini, incentrando la trattazione sugli spettacoli civili e religiosi tradizionali di cui era stata spettatrice negli ultimi anni della Repubblica.

Morì il 6 aprile 1832 nel suo appartamento nelle Procuratie Vecchie, l’imponente edificio che abbraccia l’intero lato nord di Piazza San Marco.

Fonti: le notizie biografiche su Giustina Renier Michiel sono tratte da:

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