Lusofoniamo: Manoel Antônio Álvares de Azevedo
Nel mese all’insegna del brivido, della paura nelle notti di luna piena in cui l’incubo più ignoto potrebbe trasformarsi in realtà, voglio presentarvi uno dei maggiori esponenti della letteratura gotica brasiliana: il signor Manoel Antônio Álvares de Azevedo.
Nasce a São Paulo il 12 settembre 1831. La famiglia lo “abbandona” trasferendosi a Rio de Janeiro, mentre lui resta nella città natale per studiare legge e partecipare attivamente alla vita letteraria – fonda la Sociedade de Ensaio Filosófico Paulistano insieme a Bernardo Guimarães – senza disdegnare quella romantica bohémien. Le male lingue vociferano, infatti, che partecipi assiduamente a incontri orgiastici, ispirati agli idealismi libertini byroniani, promossi e organizzati dalla Società Epicurea. La verità sulla questione resterà per sempre dubbia. È invece una certezza la sua passione per la letteratura; infatti, traduce opere dello stesso Byron – il poemetto Parisina –, di Shakespeare e di Alfred de Musset, oltre a scrivere poesie che riflettono la personale malinconia per l’assenza della famiglia. Nel 1851, Álvares de Azevedo è costretto a interrompere gli studi universitari perché affetto da tubercolosi e una caduta da cavallo complica ulteriormente il suo stato di salute, dovendosi così sottoporre a un intervento chirurgico. Purtroppo, il fato gli è particolarmente avverso e muore il 25 aprile 1852. Si crea così un’aura di mistero intorno alla sua dipartita perché l’ultima poesia, scritta poco prima di morire e letta dallo scrittore Joaquim Manuel de Macedo il giorno del funerale, si intitola proprio Se eu morresse amanhã (dal libro Poemas irônicos, venenosos e sarcásticos). Sarà un caso? Ecco un altro enigma che si aggiunge alla vita del nostro autore.
Data la brevità della sua esistenza, le pubblicazioni di Álvares de Azevedo sono postume e, solo grazie alle lettere rimaste, ai testi di scrittori che lo conoscevano e alle supposizioni frutto dell’analisi delle opere, oggi si può parlare del suo genio letterario ultra-romantico.
Il pessimismo è il marchio di fabbrica, difatti le scelte tematiche ricadono sempre sulla morte, il dolore, la delusione e la frustrazione amorosa come nel poema Soneto, antologizzato in Lira dos vinte anos (1853).
Tra la prosa gotica in stile byroniano, si distingue per l’atmosfera cupa, oserei dire satanica, la raccolta di cinque racconti Noite na taverna (1855) scritta sotto lo pseudonimo di Job Stern. Sogno, mistero, tradimenti, omicidi, incesto, necrofilia, adulterio e cannibalismo lo incoronano perfetto esemplare di romantico mal do século. Da non dimenticare Macário, considerata opera teatrale e di narrativa rappresentata in due atti. Nel primo l’autore racconta il particolare incontro di Macário, ambientato in una taverna, con uno strano individuo che si rivelerà Satana in persona, mentre nel secondo il protagonista si trova in Italia e dibatte sull’amore con l’amico Penseroso. L’epilogo è dei più tristi perché quest’ultimo, sopraffatto dalle malinconiche riflessioni condivise, si suicida. Macário, come il demonio, rende folle chiunque lo circondi; Satana, infine, lo porta con sé alla finestra per osservare una riunione di cinque amici in una locanda malfamata, prefigurazione di Noite na taverna.
Álvares de Azevedo, scrittore, saggista e poeta della seconda generazione romantica brasiliana, decide di abbandonare i temi nazionalisti e si lascia così guidare dagli angosciosi dilemmi del suo interiore per rappresentare un mondo di tenebre e tormenti.
“A vida é um escárnio sem sentido. Comédia infame que ensanguenta o lodo.”
Álvares de Azevedo, Glória moribunda
“La vita è una beffa senza senso. Una commedia infame che macchia di sangue il fango.”
(Traduzione mia)