
Lusofoniamo: il ritorno di António Lobo Antunes
Settembre porta sempre un’aria di ritorno: ai banchi di scuola, ai treni pieni di pendolari, alle strade che aspettano la pioggia, alle giornate che si accorciano.
In questa stagione di confine, avverto un pizzico di melanconia mista a euforia che magicamente mi porta a riprendere vecchie letture e riscoprire personaggi dalle mille voci… Il mio pensiero va alla protagonista di Não é meia noite quem quer (Non è mezzanotte chi vuole, Feltrinelli editore, 2018) di António Lobo Antunes. Lei è una donna di mezza età che decide di passare tre giorni del non troppo lontano agosto 2011, nella vecchia casa di famiglia al mare, con l’intento di salutare il luogo in cui ha trascorso l’infanzia. Vagando tra le stanze vuote, scivola avanti e indietro tra presente e passato, rievocando amicizie perdute, tragedie familiari, segreti che un tempo per i suoi occhi bambini erano incomprensibili. Pensa al presente…al matrimonio ormai spento, al lavoro grigio e frustrante di professoressa, alla drammatica perdita dell’unico figlio. E poi c’è il promontorio da cui il fratello si è gettato anni prima, dove oggi il rumore delle onde le sembra un richiamo irresistibile. António Lobo Antunes trasforma la storia di una vita segnata dal dolore, attraverso il viaggio di una donna che, ormai senza speranza, sceglie di dire addio a tutto, in un romanzo potente, dall’indole apparentemente autodistruttivo. Per chi vorrà leggerlo resterà impressionato dallo stile tipicamente antuniano: no punteggiatura convenzionale, no sequenze lineari, sì a frasi che si accavallano, si aprono e restano sospese.
Niente è lasciato al caso, infatti l’indescrivibile sensibilità che Antunes ha nel raccontare le crepe della vita è il suo famoso marchio di fabbrica. Prima di diventare uno tra i più grandi scrittori portoghesi, è stato un attento osservatore delle fragilità umane.
Facciamo un passo indietro.
António nasce a Lisbona nel 1942, figlio di una colta famiglia borghese, con un padre neurologo e professore. Fin da bambino – a soli sette anni – sa di voler scrivere, ma la sua strada è già segnata: deve seguire le orme paterne; quindi, senza obiettare studia alla facoltà di Medicina di Lisbona. Dopo la laurea, si specializza in psichiatria, ma un altro imprevisto bussa alla sua porta: è arruolato in Angola come medico militare nel periodo delle atroci guerre coloniali, mentre sua moglie aspetta la loro primogenita. Tornato in patria prosegue ancora per un po’ il lavoro di psichiatra, ma la fiamma creativa è sempre viva. Nel 1979 infatti esordisce con Mémoria de Elefante, il brevissimo viaggio di un uomo che rientra in Portogallo dopo aver vissuto in Africa, ma invece di ritrovare un presente solido e certo, si muove in un paesaggio interiore fatto di ricordi confusi e sfocati. Si tratta di un perfetto esempio della narrativa introspettiva di Antunes: non racconta semplicemente una storia, fa vivere, dall’interno, il disorientamento e la densità emotiva del protagonista, trasformando il ricordo e il ritorno in esperienze sensoriali per il lettore.
Nello stesso anno pubblica il suo secondo libro Os Cus de Judas (In culo al mondo, Feltrinelli, 2015), un romanzo introspettivo in cui il protagonista racconta in prima persona, in una lunga conversazione, la sua esperienza come medico militare in Angola durante la guerra coloniale. Non è un resoconto storico, ma un vero e proprio bagno nelle conseguenze psicologiche del conflitto sia per i soldati che per il popolo.
Da quel momento non smette mai di scrivere: pubblicherà 29 romanzi e 5 volumi raccolta delle sue croniche nella rivista Visão. Illustri critici lo hanno celebrato e ancora lo celebrano per il suo stile stravagante che richiama quello di José Saramago, mentre il leggendario Premio Camões lo incorona nel 2007 come gigante della letteratura lusofona, onorandolo con una biblioteca a suo nome.
Leggere António Lobo Antunes è sempre un viaggio di ritorno. Non a un luogo preciso, ma a quella parte intima dove la memoria e il presente si confondono, come settembre che porta con sé sia l’eco dell’estate che l’ombra dell’autunno. Nei suoi romanzi, che si tratti di una donna che torna alla casa al mare, di un medico che ripercorre le strade di Lisbona o di un soldato che ricorda l’Angola, il ritorno alla realtà non è mai pacifico… rivela forse la verità che non sapevamo di custodire. Forse è per questo che, finita l’ultima pagina, ci ritroviamo a fare i conti con i nostri luoghi, reali o immaginari. Proprio come settembre, quando ogni passo avanti sembra sempre anche un passo indietro.