
Curiosità: quattro sillabe, un proverbio
In un precedente episodio di questa rubrica abbiamo visto insieme come la lingua giapponese abbia un vasto repertorio di proverbi e detti popolari, a cominciare dai kotowaza.
Una seconda categoria ancora più caratteristica (e difficile da tradurre) è quella delle cosiddette espressioni a quattro caratteri, 四字熟語, dette yojijukugo in giapponese. I caratteri di cui parliamo sono i kanji, o sinogrammi, parole monosillabiche di origine cinese, adottate come base della scrittura giapponese a partire dal I secolo d.C. Le yojijukugo sono dunque espressioni che in quattro caratteri, ognuno dei quali corrisponde a una parola, esprimono una massima o una perla di saggezza popolare, ma anche immagini o concetti astratti. Sono anche uno dei soggetti preferiti per le opere di calligrafia tradizionale.
Il concetto deriva dalle espressioni fatte o frasi fatte cinesi, 成語 chéngyǔ, anch’esse in quattro caratteri. Vediamo insieme qualche esempio per capire meglio di cosa si tratta, partendo proprio da un’espressione ereditata dalla lingua cinese.
酔生夢死 (zuìshēng mèngsǐ in cinese o suisei mushi in giapponese) è un’espressione tuttora utilizzata in entrambe le lingue, formata dai caratteri di ubriachezza, vita, sogno e morte. Letteralmente si può dunque tradurre come vivere ubriaco, morire nel sogno. Tratta da una celebre poesia del filosofo cinese Cheng Hao (1032–1085), indica qualcuno che vive come perennemente ubriaco o all’interno di un sogno, senza uno scopo o una direzione, sprecando la propria esistenza senza mai realizzare nulla di valore o comprendere il vero significato della vita. La ricchezza dei sinogrammi, che condensano interi concetti in singole sillabe, permette di creare un’espressione poetica e vivida sostanzialmente impossibile da rendere in altre lingue in modo altrettanto conciso.
Altre antiche espressioni a quattro caratteri derivano dai testi sacri buddhisti. Un esempio è 会者定離 o esha jouri, letteralmente coloro che si incontrano sicuramente si separeranno: fedele al concetto chiave del buddhismo, ovvero che tutto a questo mondo è impermanente e destinato a finire, la massima ci ricorda che tutti coloro che si incontrano prima o poi dovranno dirsi addio, l’incontro stesso prelude alla separazione. L’espressione può essere interpretata in vari modi, come un invito a non sviluppare attaccamenti terreni, ma anche a fare tesoro di ogni momento prima che fugga per sempre. Una traduzione in italiano potrebbe essere ogni incontro è anche un addio.
Un’altra espressione che invita a fare tesoro di ogni incontro e ogni momento è la celebre 一期一会 ichigo ichie o un momento, un incontro, attribuita al maestro di cerimonia del tè Sen no Rikyū (1522-1591), che stando alla tradizione con questa espressione invitava i suoi allievi ad accogliere e rispettare l’ospite come se ogni cerimonia fosse un’occasione unica e irripetibile. Anche se ispirato al concetto buddhista di impermanenza, questo modo di guardare alla vita è rintracciabile anche nella nostra cultura, ad esempio nel carpe diem oraziano (o, volendo essere un po’ dissacranti, nell’acronimo inglese YOLO).
Fortunatamente per chi di noi lavora con il giapponese, non tutte le espressioni a quattro caratteri sono così mistiche e difficili da tradurre. Per esempio 一石二鳥 issekinichō, letteralmente una pietra, due uccelli, è la traduzione letterale di to kill two birds with one stone, l’equivalente inglese del nostro prendere due piccioni con una fava, mentre 電光石火 denkōsekka, o fulmine e scintilla, è l’equivalente del nostro veloce come un lampo.